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    I primi due fondamenti della consapevolezza, di Beate Gloeckner

    foglie per beateNella meditazione vipassana noi seguiamo un metodo che risale a un Sutta antico riguardante un insegnamento del Buddha, ovvero il Satipatthana Sutta, I Quattro Fondamenti della Consapevolezza. È il discorso n. 10 del Majjima Nikaya, ovvero della Raccolta dei discorsi di media lunghezza. Nella premessa a questo discorso il Buddha indica i quattro Satipatthana, o la meditazione sui Satipatthana, come l’unico modo per sviluppare la saggezza e quindi raggiungere la liberazione. Lui introdusse questo discorso con queste parole: “O monaci, o meditanti, questo è il sentiero diretto per la purificazione degli esseri, per il superamento della pena e della lamentazione, per la sparizione della sofferenza e della scontentezza, per l’acquisizione del giusto metodo, per la realizzazione del nibbana, ovvero i quattro fondamenti della consapevolezza. Questa pratica della consapevolezza è tipica degli insegnamenti buddhisti, e non si trova in nessun altro insegnamento di altre religioni e sentieri spirituali, in cui si postula l’esistenza di una entità divina e, come via per raggiungere la vera felicità, indicano un comportamento etico corretto affiancato a particolari pratiche di concentrazione. Quindi questi due aspetti sono considerati come quelli che possono portare alla felicità.


    Invece, l’approccio del Buddha è molto diverso. Mentre ci alleniamo ad osservare ciò che avviene e sorge in questo momento, e cerchiamo di comprendere il fenomeno nel corpo e nella mente, otteniamo una conoscenza profonda della natura dell’esistenza, e questa conoscenza non è fine a se stessa, ma ha un potere di guarigione e di liberazione.
    Come abbiamo già detto, il Satipatthana Sutta indica quattro ambiti, o quattro categorie di fenomeni, o oggetti, che il meditante dovrebbe osservare e quindi definiscono tutti gli oggetti che sono più adatti per questo tipo di meditazione, cioè la meditazione dell’insight.
    I quattro fondamenti sono: il primo è kaya-nupassana, cioè l’osservazione del corpo o della materialità; la seconda è vedana-nupassana, la tonalità affettiva delle sensazioni come vengono percepite in quanto piacevoli, spiacevoli e neutre; la terza è citta-nupassana, che è la contemplazione della mente o dei fattori mentali, mentre la quarta è dhamma-nupassana, ossia la contemplazione degli oggetti mentali.
    Il significato della parola nupassana è simile a quello della parola vipassana. Il verbo passana ha il significato radice di “vedere, osservare quello che abbiamo davanti agli occhi”, e il prefisso vi è “guardare in profondità o direttamente”. Quindi si tratta di un’osservazione diretta senza un’aggiunta di interpretazioni o opinioni. Invece il prefisso nu significa “esercizio che va ripetuto”, infatti va ripetuto in un processo che dura a lungo. Di seguito saranno spiegati i primi due, kaya e vedana.
    Spesso i meditanti pensano che osservare i processi fisici non sia così interessante e che invece osservare la mente possa portare a delle intuizioni più significative, ma non è così. L’osservazione della materialità o dei fenomeni fisici è una necessaria base per tutto il processo della meditazione, quindi non è un caso che sia il primo fondamento della consapevolezza e i meditanti di vipassana dovrebbero sempre iniziare con l’osservazione della materialità.
    Questo significa cogliere tutte le sensazioni fisiche che si presentano attimo dopo attimo nel corpo. Il fatto che siano presentate in questo ordine ha una sua ragion d’essere, quindi uno degli obbiettivi della vipassana è quello di tenere la mente sempre focalizzata sul fenomeno che sorge nel presente. I fenomeni fisici accadono sempre nel qui e ora e possono essere percepiti adesso, quindi se la mente rimane costantemente nei fenomeni fisici è come se fosse ancorata continuamente nel presente, e questo non è così facile da fare riguardo ai fenomeni mentali, perché la mente è molto veloce e facilmente perdiamo il contatto con il momento presente; ci perdiamo facilmente nelle considerazioni, nelle riflessioni, nei giudizi, inoltre la nostra identificazione con i fenomeni fisici non è così forte come con i fenomeni mentali. È più facile osservare le sensazioni nel nostro corpo come un processo che avviene da sé, quindi riusciamo a mantenere una certa distanza e osservarlo come un processo impersonale. Nel Visuddhimagga, che è un’importante commentario al Canone, troviamo questa istruzione:
    “Se un meditante incomincia ad osservare la materialità e riesce a discriminare i fenomeni fisici, e poi cerca di osservare o discriminare i fenomeni mentali, questi sono troppo sottili, e quindi non sono così evidenti, proprio per il fatto che sono molto sottili, e se questo succede la persona non dovrebbe rinunciare, dovrebbe sempre ritornare a focalizzare solo sull’aspetto materiale”.
    Se i fenomeni materiali diventano chiari e distinti, solo a quel punto sarà possibile osservare i fenomeni mentali con la stessa chiarezza. Solo se la mente è abbastanza chiara per distinguere le sensazioni fisiche potrà poi distinguere anche i fenomeni mentali. Ogni volta che ci troviamo persi nelle divagazioni o nei pensieri o negli stati mentali difficili dovremmo sempre tornare al fenomeno fisico che si presenta in quel momento e questo immediatamente ci aiuta a trovare una maggiore chiarezza.
    Kaya-nupassana significa osservare e cogliere qualsiasi fenomeno fisico che si presenti alle cinque porte dei sensi - la vista, l’udito, il gusto, l’odorato e il tatto -, quindi, mentre osserviamo l’oggetto primario, cioè l’alzarsi e l’abbassarsi dell’addome, cogliamo tutte quelle sensazioni fisiche così come si presentano, per esempio la tensione, la rigidità, il tirare, la morbidezza.
    All’inizio non è così facile percepire queste sensazioni, non sono solo difficili da cogliere di per sé, ma sono confuse, mescolate a delle opinioni o ai nostri concetti e ci vuole molta pazienza e costanza affinché diventino gradualmente sempre più chiare, ma dopo qualche giorno cominceranno ad essere più chiare, come per esempio la rigidità, la pressione, oppure, in altre situazioni, la leggerezza, la morbidezza, il fatto che siano lisce o levigate; nella camminata potrete notare un aumento della pressione quando piegate il piede, la leggerezza quando lo sollevate, un po’ di tensione mentre lo fate avanzare e la durezza quando lo poggiate per terra.
    Ciascuna delle sensazioni fisiche può essere collegata a uno dei quattro grandi elementi - acqua, fuoco, aria, terra - e quindi corrispondono a queste caratteristiche della solidità, della liquidità, della temperatura, dell’ariosità. Qualunque sensazione fisica di cui facciamo esperienza può essere collegata a uno di questi elementi: solido, liquido, arioso oppure avere una certa temperatura.
    Facciamo l’esempio della patata. Immaginiamo di bollire una patata in poca acqua senza coperchio e, provando ad infilare una forchetta in diversi punti della patata, ci accorgeremo che c’è una resistenza diversa. In alcuni punti dove non era in contatto con l’acqua bollente la patata sarà dura ed avremo durezza, e li la forchetta quasi non penetrerà nella patata; in altri punti, invece, c’è minor resistenza e si sperimenterà la morbidezza. La resistenza minore si ha quando si infila la forchetta nell’acqua, mentre in altri punti addirittura si ha la sensazione di infilare la forchetta nell’aria e quindi non c’è nessuna resistenza. Se si infilano in bocca diverse parti della patata si sentiranno diverse temperature; è sempre lo stesso oggetto, ma si entrerà in contatto con i diversi aspetti della patata collegati con i diversi quattro elementi, e si può anche notare che il passaggio da un elemento all’altro non è così definito, è più come un spettro, si va da una maggiore solidità, attraversa poi la liquidità e diventare ariosità, e questa stessa esperienza la potete fare in riferimento all’addome, all’alzarsi ed abbassarsi, a volte accompagnato da maggior resistenza e lo percepite come duro, bloccato, a volte invece collegato a una maggior fluidità e viene percepito come morbidezza; a volte, al contrario, è percepito come arioso ed è come se non ci fosse più nessuna resistenza.
    Per elemento si intende qualcosa che non è composto di altre parti, non può essere ridimensionato in parti più piccole. Si prenda qualsiasi altro oggetto, una mano, un piede, un tavolo lo si può scomporre nelle sue parti più piccole, ma lo stesso non si può fare con i quattro grandi elementi, non si può scomporre per esempio il calore in parti più piccole.
    Potete fare una prova adesso, se chiudete gli occhi e mette tutta la vostra attenzione sulla mano destra, che cosa percepite esattamente. Può darsi che percepiate del calore, della freschezza, dei piccoli movimenti, della tensione, della morbidezza. Ma potete percepire la forma della mano? E cosa succede se ci provate?
    C’è effettivamente una sensazione fisica collegata con la forma della vostra mano o è un’immagine mentale che sorge nella vostra mente? E per quanto riguarda la solidità si può effettivamente provare qualcosa di solido come se fosse una sostanza solida che non cambia? Forse vi sarà più chiaro capire la differenza tra l’esperienza diretta della sensazione fisica e un’immagine mentale, però sono richieste molteplici osservazioni approfondite perché questa distinzione tra sensazione fisica reale e tra immagine mentale venga compresa chiaramente. Man mano che ci esercitiamo ad osservare le sensazioni fisiche distingueremo sempre di più tra la diretta esperienza e tutte le aggiunte mentali che noi ci poniamo sopra.
    Il compito qui, e questo spesso viene frainteso, non è quello di impedire alle immagini mentali di sorgere - questo non sarebbe neanche possibile, la mente produrrà sempre delle idee o delle immagini riguardo all’oggetto percepito -, è sufficiente riuscire a discriminare e distinguere, e dire: “Questo è l’aspetto fisico, questo è l’aspetto mentale, questa è la reale esperienza di un fenomeno che è sorto nel presente e questa è una interpretazione mentale relativa a quel particolare oggetto”.
    Il secondo fondamento della consapevolezza riguarda le sensazioni, ma non sotto l’aspetto fisico, bensì in quello che chiameremo “la tonalità affettiva dell’esperienza”.
    Questa tonalità, quando si fa esperienza di una qualunque sensazione, sorge sempre e la si coglie come piacevole, spiacevole o neutra: se annusiamo un fiore lo percepiamo come piacevole, l’odore di una camicia sporca sarà sgradevole, invece l’odore neutro dell’acqua pura non sarà neanche percepito. Lo stesso vale anche per gli oggetti mentali: la gioia e la calma sono associate alla piacevolezza; la rabbia, la paura e l’irrequietezza sono associate alla spiacevolezza, e l’equanimità con una sensazione neutra.
    Nella nostra lingua non abbiamo un termine per la parola pali vedana, pertanto la cosa migliore è usare il termine pali. Ci si potrebbe chiedere perché il Buddha ha dato tanta importanza a questo aspetto dell’esperienza tanto da darle questa posizione all’interno dei quattro fondamenti della consapevolezza. Il motivo è che questa tonalità associata all’esperienza - la piacevolezza, spiacevolezza, neutralità - è ciò che crea una reazione nella mente.
    Se non siamo consapevoli noi continueremo ad afferrare gli oggetti piacevoli, a rifiutare quelli spiacevoli, e a ignorare quelli neutri. Quindi in questo modo la mente reagisce in maniera automatica secondo degli schemi abituali e il più delle volte inconsci Per esempio, sorge un dolore, la mente immediatamente reagisce con resistenza e vuole subito sbarazzarsene, oppure sorgono delle sensazioni sottili di vibrazioni nel corpo, automaticamente sorge il desiderio per farle durare più a lungo.
    Questo è quello che disse il Buddha riguardo a vedana:
    “I monaci e i meditanti devono superare la brama riguardo agli oggetti piacevoli, la resistenza a quelli spiacevoli, e l’ignoranza riguardo a quelli neutri.
    Patiga è il termine pali che significa “resistenza”. Patiga è più vasto come significato riguardo all’avversione perché fa riferimento a quelle sensazioni più sottili e nascoste. Se non siamo consapevoli di ciò che sperimentiamo nel qui e ora patiga si sta manifestando. L’ignoranza associata alle sensazioni neutre ha un’importanza maggiore di quello che noi crediamo, la mente grossolana non dà molto importanza agli oggetti più sottili, e quindi tutto questo campo enorme di sensazioni, di fenomeni più sottili non vengono colti, e inoltre non vengono percepiti quei piccoli cambiamenti che avvengono da un momento all’altro.
    Senza un addestramento mentale percepiamo solo una piccola fetta della realtà. Attraverso l’addestramento mentale, al contrario, noi possiamo diventare sempre più consapevoli di questo legame tra vedana e la reazione della mente, cioè l’avversione, la brama o l’ignoranza.
    Innanzitutto, dobbiamo essere consapevoli che quando un oggetto sorge ha la caratteristica di essere piacevole, spiacevole o neutro, e poi in un secondo passaggio vediamo la reazione mentale a questo fenomeno. Se la mente reagisce con un volerlo, se l’oggetto piace alla mente, o non piace, o reagisce con disinteresse riguardo all’oggetto. Questo piacere o non piacere cerchiamo di coglierlo nell’attimo in cui sorge e in questo modo evitiamo che questo desiderio o resistenza si stabilizzi nella mente.
    Immaginiamo che sorga una forte tensione nel corpo. Si nota semplicemente la tensione e la spiacevolezza che l’accompagna e quasi automaticamente seguirà la mente che non la vuole. Quando notiamo questa forma di resistenza nella mente riportiamola immediatamente sull’oggetto fisico e sulle sensazioni che si presentano.
    In questo modo, la resistenza e l’avversione perderanno il suo potere e facilmente se ne andranno, e quindi semplicemente si affronta il dolore e la spiacevolezza insita nel dolore e si mantiene la mente aperta riguardo a questo.
    In un famoso Sutta, quello delle due frecce, il Buddha spiega la differenza di reazione nella persona che ha già acquisito una certa saggezza e in chi non l’ha acquisita. La persona non addestrata che non ha sviluppato la saggezza reagisce all’attacco di una freccia con tristezza, dolore, disperazione, e in questo modo è come se provasse due dolori: quello fisico e quello mentale.
    Il Buddha paragona questa situazione a quella persona che viene colpita non da una freccia, ma da due. La prima freccia corrisponde al dolore fisico che è inevitabile, la seconda al dolore mentale, cioè a come la mente risponde con tristezza e disperazione.
    Invece la situazione di un discepolo ben istruito e addestrato è molto diversa. Il nobile discepolo quando è colpito da una freccia non reagisce con tristezza o disperazione, sente un solo dolore quello fisico e non quello mentale, quindi non è colpito dalla seconda freccia. Se una persona rimane solo con la sensazione fisica, sicuramente non soffrirà del dolore mentale che potrebbe essere associato. Senza consapevolezza le reazioni mentali accadono molto velocemente, quindi il dolore sembra indicare già una situazione mentale squilibrata e non definita.
    Spesso i meditanti nei colloqui riferiscono che la meditazione non è stata buona, perché “c’era così tanto dolore” o “ero distratto da non poter stare sull’addome”, e quindi suppongono di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma non è affatto cosi.
    Il dolore sorge in virtù di determinate condizioni e di per sè non è né salutare, né non salutare - anche il Buddha aveva terribili dolori alla schiena -, quello che inquina la mente è la reazione di desiderio, avversione o illusione e sono queste che impediscono alla mente di essere consapevole. Il fatto che sorga un forte dolore non è affatto un cattivo segno, a volte è causato proprio dalla pratica meditativa stessa, quando si sviluppa la consapevolezza e la concentrazione, e quei dolori che normalmente nella vita quotidiana copriamo con varie distrazioni trovano lo spazio per manifestarsi.
    All’inizio della propria pratica il dolore si presenta come una massa solida, informe, stagnante. Sembra che non si muova, che non succeda nulla, ma con una maggiore concentrazione si vedrà che in realtà il dolore è composto da tante piccole sensazioni che si muovono in un continuo flusso, e si intensificano, o si riducono di intensità, si diffondono, o si contraggono, e osservando tutti questi cambiamenti la mente diventa molto concentrata e interessata a ciò che accade e si può andare anche in un profondo assorbimento.
    Osservando il dolore in questo modo può sorgere anche una sensazione di gioia, e questa esperienza rivela che la mente non è affatto schiava del corpo, può rimanere distaccata, a proprio agio e anche felice in presenza di dolori fisici intensi. Questa esperienza ha il potere di togliere molta della nostra paura riguardo della sofferenza fisica e della malattia.
    La consapevolezza dei vedana porta ulteriori benefici. Le sensazioni fisiche intense non solo ci aiutano a sviluppare la nostra concentrazione e consapevolezza, rinforza anche le qualità mentali importanti quali la pazienza e l’equanimità.
    Osservando bene vedana, tutte e tre le caratteristiche universali possono essere chiaramente osservate o viste, e queste sono le caratteristiche dell’impermanenza, l’insoddisfazione dei fenomeni, ed il non sé. In un certo momento si entra in contatto con una sensazione di morbidezza nel corpo e automaticamente sorge il vedana piacevole, il momento successivo c’è un rumore improvviso e sorge una reazione spiacevole. Quindi, nel flusso della nostra coscienza sorgono continuamente questi fenomeni ognuno dei quali è associato a vedana, cioè con la caratteristica della piacevolezza, spiacevolezza e neutralità.
    Così comprendiamo non solo che questi vedana cambiano in continuazione, ma anche che non abbiamo nessun controllo su essi. In un Sutta il Buddha paragona questi vedana al vento che soffia nelle varie direzioni, a volte caldo, a volte freddo, a volte polveroso, quindi non avrebbe alcun senso combattere contro questi cambiamenti perché semplicemente avvengono. Osservando e comprendendo sempre più a fondo questo fenomeno la mente rinuncia alla sua solita reazione riguardo alla piacevolezza, spiacevolezza e neutralità.
    In questo senso la contemplazione di vedana è uno strumento molto potente verso il distacco e il disincanto.
    Concludo questo discorso augurando a tutti voi di comprendere questa opportunità di praticare i quattro fondamenti della consapevolezza, che il Buddha ha indicato come l’unico o il più diretto sentiero verso la liberazione.
    Che voi possiate osservare l’aspetto della materialità e riusciate a distinguere le singole sensazioni come appartenenti a uno dei quattro elementi, e che possa la contemplazione del secondo fondamento della consapevolezza vedana-nupassana portarvi a superare questa reazione, riguardo agli oggetti che sorgono che porta alla brama rispetto a quelli piacevoli, avversione rispetto a quelli spiacevoli, e all’ignoranza rispetto a quelli neutri. L’equanimità in questo modo crescerà e si svilupperà la saggezza.

    (traduzione di Sandra Craighead; trascrizione di Luisa Lazzarotto)